venerdì 27 dicembre 2013

Strenua lotta





E' in quegli spazi di rumoroso silenzio,
in quelle intercapedini del cuore,
che trova spazio il più profondo dolore.


Arriva all'improvviso,
dritto,
lo vedi: ti è di fronte
e colpisce
sempre più forte.

Un pugno violento allo stomaco, 
un vuoto d'aria che blocca il respiro,
e la parola si smorza,
soffocata.

Mentre cerchi di opporre resistenza,
il corpo si piega in due, 
e in quel ritrarsi
si espone a una raffica violenta di colpi.

Le spalle si fanno dolenti, pesanti, 
gravate da un macigno insopportabile.

Ogni volta che accade 

sembra quella buona per la sconfitta,
quella in cui è impossibile rialzarsi,
quella in cui non te ne frega più niente,
in cui ti arrenderesti volentieri, per una volta, alla debolezza.

"Ma sì, fammi a pezzi,
annienta queste membra e questi pensieri,
almeno troverò un po' di pace e di conforto.
E forse si volerà via leggeri, come piume tra le nuvole,
e forse la felicità sarà di nuovo dolce, 
senza più quel retrogusto amaro".



Ma mentre la mente vaga in questa direzione,
il corpo si ribella.

E' come quando tieni la testa per troppo tempo sott'acqua:

percepisci l'assenza di ossigeno
e tutto torna a lottare disperatamente 

per raggiungere la superficie; 
quello è il solo obiettivo.

...Finchè il corpo riemerge, 
la bocca si apre, 
si spalanca, 
inspira tutto ciò che può.
E l'aria affluisce nei polmoni,
il sangue torna a scorrere nelle vene.

Respiri di nuovo, 

sei vivo,
e non ti sembra vero.

Un'ebbrezza ti sospinge.

Finchè ti ritrovi di nuovo a riva,

e di nuovo

lo senti tutto il peso di quei panni zuppi, 
quando cerchi di rialzarti.

Aspetta.
Concediti di non avere fretta.
Il sole asciugherà i vestiti
e sarà tutto molto più semplice.


Ora, mentre non sai se piangere di felicità o di disperazione,

mentre la testa si interroga se gioire o pentirsi per avercela fatta un'altra volta,
il corpo si arrende sulla sabbia

e le narici inalano nuova aria.

Un vento fresco viene così a placare la mente inquieta,
e resti lì,
con la schiena a terra,
ad assaporare di nuovo quel sapore di sale,
il gusto delle lacrime che non hai pianto. 
 

 



 

mercoledì 18 dicembre 2013

Ricordi scomposti - II parte

...Ricordo quel giardino immenso, nel quale ci perdevamo giocando a nascondino.
Ricordo i filari di viti, da cui - nella stagione autunnale - coglievamo succulenti grappoli, gustando un sapore che non ho mai più riassaporato.
Ricordo quell'albero alto, su cui avevamo costruito la nostra casa con corde e assi di legno.
Ricordo il tavolo al centro del cortile, circondato da panche di marmo, su cui - nella mia fantasia - immaginavo si sarebbero seduti Biancaneve e i sette nani.
Ricordo le ginocchia sbucciate, quell'enorme bernoccolo, quando saltando da una panca all'altra avevo battuto la testa su un duro spigolo marmoreo, facendo tanto spaventare tutti.

Ricordo il rumore della ghiaia, scomposta sotto i nostri piedi mentre correvamo.

Ricordo le cene della vigilia di Natale, quando gli adulti, riuniti intorno al tavolo, parlavano e discutevano di chissà cosa.
Ricordo che con Piergiorgio - mio adorato cugino - sgattaiolavamo via silenziosi e, rifugiandoci nella sala superiore, ci preparavamo per l'esibizione.

Lui si sedeva sullo sgabello girevole, sollevava la copertura di legno, toglieva la pezza di velluto verde che copriva i tasti, e lanciandomi uno sguardo sorridente, annuiva e iniziava a suonare il maestoso pianoforte.

Lo guardavo incantata.

Le lunghe dita si muovevano rapidissime sulla tastiera, con abili "allunghi", ad afferrare anche gli ultimi tasti dell'accordo.
A volte il tocco era deciso, quasi un affondo, altre volte sottile e delicato, come una carezza.
Non leggeva lo spartito, Piergiorgio, era come se il pentagramma fosse impresso nella sua mente.

Rimanevo per alcuni minuti ad osservare incantata quella magia. 
Nel contempo lasciavo che le note mi avvolgessero, che la musica mi parlasse, mi rivelasse la sua natura, che fosse lei a dirmi che cosa voleva.
...poi - al momento giusto - quando ormai mi sentivo parte della melodia, iniziavo a ballare.
Non era la mente a dirigere il corpo: accadeva semmai il contrario.
Il ritmo era dettato dalla musica, che suggeriva i movimenti.
Braccia, gambe, busto, capo, si flettevano armoniosamente, così come armoniosamente le mani assumevano quella forma aggraziata che contraddistingue le pose della danza classica.

Mi sentivo felice e "padrona" dello spazio, avvolta da un'aura celestiale.
Ero nel mio mondo: in quello spazio sospeso tra il qui e l'altrove, nel quale ho sempre trovato la mia dimensione.

Ricordo quando, danzando, tornavo da scuola, quando la musica della natura che mi circondava risuonava nella mente, componendo poemi armonici da cui mi lasciavo travolgere.
Ho sempre amato quegli spazi "privati", in cui dialogavo con le foglie, gli alberi, il vento, invocando che mi sollevasse, che mi sferzasse con le sue folate, che mi facesse sentire viva, libera.
Libera, sì, sciolta da tutti i legami, dai vincoli, dalle convenzioni, dall'ordine imposto.



Ricordi scomposti - I parte

...Ricordo il sapore inconfondibile degli gnocchi al pomodoro della nonna.
Ricordo quelle agili mani, che impastavano con maestria patate e farina su un asse di legno che tornava puntualmente per l'occasione.
Ricordo l'entusiasmo con cui Nicola, Anna ed io davamo il tocco finale a quelle file perfette di palline impastate: la nonna ci concedeva il privilegio e l'onore di schiacciarvi sopra la forchetta, per conferire la tipica forma ai suoi capolavori.
Quando l'acqua bolliva, ci affacciavamo trepidanti intorno al fuoco, per assistere al tuffo e all'affondamento di quei gioiellini culinari.
E quando tornavano in superficie, era davvero una festa vederli riafferrati dalla schiumarola, adagiarsi fumanti nella marmitta di  porcellana bianca.
L'alchimia si compiva quando il sugo rosso si posava sinuosamente su quel letto caldo.
Una spolverata di Parmigiano dava il tocco finale a quel tripudio di colore e sapore.

"Pancia mia, fatti capanna!", annunciava papà tornando bambino, quasi a riprendersi, a rivendicare il suo ruolo di figlio.
A lui era riservato il posto a capotavola, mentre la mamma, con dolcezza, ci disponeva ai lati del tavolo, assicurandosi che fossimo seduti educatamente, in attesa di essere serviti.

Ricordo quella cucina, diversa dalla nostra perché più antica: conservava colori, sapori, odori che rimanevano per me inspiegabilmente intrisi di tracce di un passato, di una memoria della quale la nonna era preziosa custode.
Anche la casa dei nonni materni aveva questa particolarità.
C'erano foto in bianco e nero sui mobili, centrini ricamati, cristalli e gingilli d'argento sui comodini.
Non mancava mai, sul tavolo del soggiorno, un mazzo di fiori variopinti che il nonno coglieva nei campi, riportando un tocco di natura tra le mura domestiche.

Che cosa rendeva così particolari quelle case?

Ricordi di un'infanzia spensierata, in cui la dimora dei nonni era un luogo sicuro, accogliente, dove era concesso giocare a perdifiato, dove la merenda era sempre qualcosa di insolito e diverso rispetto a casa, dove tutti i nostri apprendimenti passavano dall'osservazione.

Figure sagge erano il nostro esempio: instancabili lavoratori, così rodati alla vita da non dare mai troppo peso alle preoccupazioni, ma sempre pronti ad affrontare ciò che la vita riserva.
Sotto i nostri occhi si disponevano, attraverso gesti quotidiani, tanti insegnamenti.

Di una nonna ricordo la femminilità, quando si pettinava e raccoglieva quei lunghi fili argentei in uno chignon che fissava alla nuca e le conferiva un'aria ordinata ed elegante.
Dell'altra ho in mente l'affaccendarsi ai fornelli, i suoi grembiuli, su cui appoggiavo la testa quand'ero stanca...
Ricordo le mani del nonno, quelle nocche evidenti segnate dall'operosità, quei palmi grandi che si poggiavano delicatamente sulla mia piccola testa, accarezzandola dolcemente.
Ricordo l'odore della carta dei giornali, che non mancavano mail.

.....


giovedì 12 dicembre 2013

Sogno

Ho sognato di allungare la mano
e accarezzare ancora il tuo volto.

Ho sognato di camminare ancora insieme a te.

Le strade s'illuminavano,
come quando danzavamo leggeri sull'asfalto,
e passando davanti alle vetrine,
sembrava si accendessero,
sotto i nostri sguardi.
...e la vita si colorava...

Mentre arrivavo trafelata,
sorridendomi mi aspettavi all'angolo
e aprendo il cappotto, come per magia,
mi allungavi un bicchiere di caffè caldo.

Le nostre mani,
gelate dal freddo
(entrambi rifiutiamo i guanti)
sono tornate di nuovo a sfiorarsi.

Sono mani che si assomigliano,
che cercano di ricreare la perfezione in ciò che fanno.

Hai detto qualcosa,
ma non sono riuscita a udirne il suono.

Vedevo le tue labbra muoversi,
ma la tua voce non giungeva al mio orecchio
Cercavo disperatamente di udirlo...
...il suono della tua voce.

Ma neppure il sogno mi ha concesso di riportarlo in vita.


martedì 3 dicembre 2013

Il treno

Sembra un fiume in piena quello che sta arrivando.
Frotte di ragazzi, con aria scanzonata vanno verso la scuola tenendosi sotto braccio, spingendosi, ridendo...come in un branco.

E' bello vederli solidali irridere la scuola, i professori, i genitori, il moroso o la morosa che li ha appena lasciati.

Si fanno compagnia in un'età che li fa sentire forti, ribelli e al contempo spaventati e impreparati a quella tempesta di sentimenti del tutto nuovi e potenti.

Sorrido con tenerezza al loro modo di sostenersi, di fare i saggi, talora i cinici, di fingersi "uomini vissuti".

Me li lascio alle spalle salendo sul TRENO.
 
Il paesaggio umano che mi accoglie è del tutto diverso.



SILENZIO.


Uomini e donne grigi, spenti. Ognuno è rinchiuso nel proprio corpo, nei propri pensieri.

Mi appaiono come piccoli istrici, ciascuno arrotolato su stesso, ciascuno separato dal resto da quella barriera di aculei.

Con amarezza noto l'assurda disposizione che questo popolo di viaggiatori ha assunto: ogni quattro posti, una persona.

Una paura di contagio sembra dilagare.

C'è forse paura che l'altro possa rivolgere una parola, uno sguardo, un gesto interrogante a cui non c'è voglia di rispondere.

Nessuno si siede accanto all'altro.
E sui moltissimi posti vuoti che rimangono, a sedersi sono solo i fantasmi, proiezioni della mente di quei viaggiatori.

Sono tentata di violare questa disposizione, questo tacito ordine che mi fa venire i brividi.

Mi siedo accanto a un signore.
Solleva lo sguardo, ritrae le gambe, avvicina le braccia al busto,
e si richiude come una lumaca nel proprio guscio.
China la testa sul cellulare, interlocutore privilegiato.

Non solleverà più lo sguardo, se non al momento di scendere, quando una voce metallica annuncia l'arrivo in stazione.

Si è reso conto di questo cielo? di questo sole? dell'incanto delle montagne innevate, illuminate dalla luce dell'alba? E soprattutto...si è reso conto di se stesso?

Chissà!

Rimango avvolta dal silenzio e dal mistero.

Dolci sentimenti mi attraversano,
venendo a placare le onde sferzanti dei miei tanti interrogativi.

martedì 26 novembre 2013

Levità


Tutto sembra elevarsi verso l'alto, in questa città,
spingendo anche me a elevare lo sguardo verso il cielo,
verso l'oltre,
dando al mio passo una dimensione più lieve.

Gioia piena è quella sento,
percependomi profondamente parte del creato,
in armonia con tutto il resto.

Mutevole è il paesaggio,
come mutevole è l'animo umano.

Quale meraviglia possiamo essere,
quale valore dischiudiamo,
semplicemente esistendo,
senza bisogno di ostentare nulla,
senza bisogno di chiedere nulla,
eppure ricevendo tutto.

Non sempre me ne rendo conto,

ma come con le stelle,
che brillano al buio
nei giorni limpidi,
così questa luce si mostra
quando le nubi
del cuore e della mente
si dissolvono,
arrendendosi a una potenza straripante,
traboccante,
corroborante,
che irrompe e dirompe.



mercoledì 20 novembre 2013

TantoPoco

Scrivo.
Scrivere è anche non parlare. E’ tacere, è urlare senza rumore. (M. Duras)

domenica 10 novembre 2013

Far from the crowd, inside ourself

Mi hanno portato fuori questa sera. E' un locale raffinato: buon cibo, buone bevande...
Pensavo mi facesse bene, ma non è così.
Il mio cuore è altrove, la mia testa è altrove, persino il mio corpo è altrove.

Cibo, compagnia, luci, musica: sono tutti riempitivi che non desidero affatto.
E' un vuoto più profondo quello che ho dentro, che non voglio saturare (ma colmare).
Tutto ciò che mi circonda non mi rallegra, anzi...mi stordisce, ottunde solamente i miei sensi.


E ora che cammino sola, sentendo l'eco dei miei passi, avvolta in un pullover di cashmere blu come la notte, mi sento finalmente io.
Sono qui, con tutto il carico che ciò comporta.

Cammino e cammino, cercando la mia dimensione, cercando una direzione, cercando me stessa.

Un vento freddo mi culla. 

Pensandoti, alzo gli occhi al cielo.

La luna è offuscata stasera, come sono offuscata io.

E quella metà che non si vede è quella metà di me che non trovo.
Vorrei raggiungerti, ovunque tu sia, conoscere i tuoi pensieri, condividerli.

Ma trovo il silenzio e il vento, gelido, soffia solo sul mio viso
e la notte è buia.

Mi fermo.
Respiro. Dapprima affannosamente, poi sempre più lentamente.
Dove sto andando?
Ferma!
Pian piano ci entro fino in fondo a questa notte e mi abbandono con tutta me stessa.
Eccomi, finalmente.

E' dolce e inaspettato lasciare la presa.
Pienezza, grandezza, unità, non più vuoto, separazione, nullità.




mercoledì 6 novembre 2013

Miseria e nobiltà



La porta è chiusa e questo castello mette quasi soggezione, così imponente e austero.
Ma io vi ho scorto qualcosa dentro:
ho scorto la luce e il tepore di un focolare,
intravisti fugacemente prima che il ponte levatoio si sollevasse, bloccando per sempre l’accesso.

Per strada ho visto poi dei mendicanti:
brancolavano nel buio, al freddo.  
“E’ un fuoco sprecato – ho pensato - quello che non dona calore,
è un’inutile fiamma quella che non sparge la sua luce”.



Raccogliendo i ciocchi di legna,
i mendicanti hanno acceso un falò:
esile dimora, esposta al vento, ma così prodiga del suo luminoso tepore.

Un principe li osserva dall’alto delle sue stanze,
irridendo il loro goffo affannarsi.
“Domani mi toccherà un po’ di carità”, sospira tra sé, nel vanto del suo mantello.
Ma il suo sguardo commiserante gli impedisce di leggere il labiale
che uno di quei poveri gli sta rivolgendo.


“Perché ti inorridisce tanto la condizione umana? Perché continui a voler essere altro?
Credi sia una trappola essere uomo, o debolezza porsi domande e illusione essere felici?”

Non è assurdità farsi compagnia, cercare la felicità, seguire un sogno o usare la ragione.
...E’ semplicemente un preparare la strada a quell’esperienza che buca la ragione.

...Quell’esperienza in cui ti accorgi che miseria e nobiltà, Grande Io e piccolo io, identità e alterità non sono contrapposti,
ma fusi insieme.

Io, tu, gli altri, chi siamo?
Quell’Io!Quell'unico, vero, Io.

 E' in ognuno.  Lo riesci a vedere?

lunedì 4 novembre 2013

Attimi d'eternità - Perchè siamo qui.

Rincasando, felice per la giornata trascorsa a scuola, Sally accese il PC. Stava cercando distrattamente qualcosa tra la posta, quando si imbattè in una citazione.
Incredibile quanto quelle parole - stralci di un libro che non aveva letto - rispondessero al suo stato interno!


Illusione e realtà
di te di me …la confusione
nella tua ansia di capire mi rifletto
In te in me
scorrono passione e dolore
Ti cerco e ti rifuggo, ti perdo e ti ritrovo,
mi dispero e mi delizio di averti e
non averti
Con te nasce la mia bramosia di
conoscere, di sapere, di godere
anche solo per alcuni attimi di un attimo
di eternità.. (Paramansa Yogananda- Sussurri d'eternità)


venerdì 1 novembre 2013

Nuova vita



E’ una splendida giornata autunnale.
Finalmente torno a risollevare lo sguardo, a volgerlo all’esterno, torno a respirare, torno alla vita! Tutto riacquista colore: il colore della natura, mia compagna, mia musa ispiratrice, mia fonte di ristoro e di sollievo.
Come sono passati questi giorni? In un modo folle, delirante, in un susseguirsi di impegni che mi ha sottratto completamente a tutto.

Tutto?
No.
Non è venuta meno la nostalgia dell’infinito, di quell’unico respiro in grado di risollevarmi e di farmi prendere il volo! Ma si tratta appunto di una nostalgia, perché accanto al desiderio dell’immenso, prevaleva la paura di potermici perdere.

“Bisogna tenere la barra dritta, manovrare con destrezza il timone e non perdere la rotta”: queste erano le parole che mi ripetevo (eco di antiche indicazioni di marinai) quando, di tanto in tanto, arrivavo a solcare le profondità dell’oceano interiore sconfinato.
E così, galleggiavo, planando leggera come una spugna sulla superficie dell’acqua; finché, proprio come una spugna sono rimasta assorbita, impregnata e schiacciata sotto il peso del lavoro, da un vortice, da un susseguirsi e un rincorrersi divorante di azioni…già…azioni, più che pensieri, perché il pensiero, quello vero, quello più profondo, non aveva spazio o forse ne aveva fin troppo e rimaneva tutto compresso dietro un frenetico agire!

E come una spugna che viene strizzata, eccomi ora. Vuota superficie porosa, che torna a riassumere la propria sagoma. Si riaprono gli interstizi e torna a filtrare l’aria.
Ricettività, flessibilità, “vita autonoma”: queste le proprietà di una spugna, che è in grado di sopravvivere anche senza ricevere la luce.
Già…”sopra-vvivere...in che modo?
Ancora una volta mi è chiaro quanto la testa comandi e il corpo, quasi meccanicamente,  esegua.
Le dita, in questi giorni, scorrevano velocemente sulla tastiera, che le derubava di tutte altre le esperienze sensoriali che le mani ci possono donare.
Le ginocchia, invece di flettersi per correre e saltare, rimanevano piegate e dolenti, la schiena incollata alla sedia, lo stomaco contratto, le terminazioni nervose compresse in un continuo sforzo di concentrazione.

“Non bisogna perdere la calma, la lucidità, non bisogna farsi distrarre, non ci si può lasciar sfuggire nulla”.
E in tutto questo riconosco – ora - una profonda solitudine. Sola nel mio piccolo mondo, nelle mie auto-direttive, sola tra queste mura, ma soprattutto tra le pareti della mia mente.
“Quanta vita c’è la fuori, nella guerra?
Quanta morte c’è nella pace?” (M. Mazzantini)
Sono scossa da un tremore inarrestabile in tutto il corpo. E me ne rendo conto solo ora che mi fermo.
E' un corpo prigioniero di una staticità innaturale, un corpo che torna a reclamare la sua vitalità. 
Provo ad ascoltarlo.
Sono pronta a uscire.

Corro, rido, mi immergo in un piacere crescente che spazza via come polvere il grigiore dei pensieri.
Aria pulita. Ti adoro!

domenica 27 ottobre 2013

Un'altra umanità. La parte più nobile



Immersa da parole che le scorrevano addosso come gocce su un panno idrorepellente.

Era lì, in mezzo a tutta quella gente da cui si sentiva così profondamente diversa.

Non era l'esteriorità quella che interessava a lei, non era fare di tutto pur di farsi notare e conoscere.

...Al contrario...

Le situazioni sociali erano erano proprio quelle da cui sarebbe voluta sparire.

Ormai aveva dovuto imparare, a sue spese, che era necessario mediare, scendere a compromessi con le convenzioni sociali e mettere a tacere quella forza che la spingeva a tirarsi indietro.
Era diventata capace di fare "buon viso a cattivo gioco".
Aveva studiato bene come ci si deve comportare per mostrarsi sicura, malgrado indecisa o contenta, sebbene lacerata.

Ma in fondo ai suoi occhi, nella parte più recondita delle sue movenze era forse possibile scorgere quel velo di malinconia o di amarezza. L'amarezza che nasce dal disincanto di un mondo così distante, di cui non ci si sente parte.

Eppure chi aveva una sensibilità in più, inspiegabilmente si era accorto di quel suo sguardo, pareva aver captato quel suo essere sfuggente e, come per incanto, l'aveva aiutata a sentirsi più a suo agio, mostrandole di accogliere quel suo essere diversa.

Lo aveva fatto così: semplicemente sussurrandole una parola, dedicandole un sorriso e una carezza.
Il cuore le si era stretto, contratto da un moto di commozione.

Era in un volto umano della tenerezza che le sembrava di aver intravisto nuovamente un'altra immagine di umanità: un'umanità in cui ritrovavano posto i valori della prossimità, del silenzio, della discrezione, della naturalezza, del calore di una vicinanza che sappia restituire il puro piacere di stare insieme, accogliendosi così come si è.



Strano...eppure il portatore di quell'umanità credeva (o forse si convinceva) di essere una persona cinica e spietata...
https://www.youtube.com/watch?v=VpG5G0Qhv3k
Ma non lo era, o meglio...forse lo era anche, ma possedeva - altresì - un abisso di dolcezza! Perché non servirsi di più di questa parte? Perché?

Nella sensibilità, non nello charme, la parte più nobile. Nel suo essere, non nell'etichetta, il tesoro più prezioso.

giovedì 24 ottobre 2013

Perchè (o dell'amore)

Si svegliò nel cuore della notte. Nella testa rimbombava una domanda:
"perchè?"

Cercò di capire da quale sogno stava uscendo, ma...nulla; la mente era una lavagna nera su cui a chiare lettere campeggiava solo quell'interrogativo.

Forse il seme da cui era germogliata quella domanda risiedeva in ciò che aveva fatto prima di addormentarsi.

Quali erano stati i suoi ultimi pensieri chiudendo gli occhi?

Aveva pensato a com'era la sua vita, a come le sarebbe piaciuto fosse.

Aveva pensato a chi si stava per addormentare felice, a chi non avrebbe chiuso occhio; alla serenità e all'inquietudine.

Poi aveva deciso di leggere qualche pagina, per distrarsi e per conciliare il sonno che tardava a venire MA la trama della storia era passata subito in secondo piano nel momento in cui era inciampata in quella citazione:

 "E' sempre per amore che si soffre, anche quando crediamo di non    soffrire per niente".

Era una frase come tante, messa lì come incipit, ma l'aveva colpita.

Era vero?

Silenzio. Nessuna risposta.

Erano forse l'amore o la sua assenza a far provare, o viceversa a privare, di quello stato in cui l'essere percepisce una felicità senza increspature?

E allora, perchè non era dato a tutti vivere quell'esperienza?

Perchè?

Silenzio. Nessuna risposta.

Ora l'eco di quella domanda, lanciata nel cuore della notte, tornava a risvegliarla. Un boomerang di ritorno alla base, che la spingeva a radunare le forze per riafferrarlo dolcemente, senza farsi ferire dall'impatto diretto che avrebbe potuto avere.

L'aveva riacciuffato. E adesso era lì di nuovo,
sola,
con il boomerang in mano.

A volte siamo chiamati a giocare da soli,
altre volte scegliamo di farlo,
altre ancora non ci decidiamo a non farlo.

E così, forse, accade anche per l'amore.
...e forse soffriamo perchè ci manca quella gioia (l'amore, appunto) della quale più non riusciamo a godere.

domenica 20 ottobre 2013

Storia di Garrett e Céline (IV Parte)

Ossa rotte, brividi, panni zuppi e la testa...un roveto ardente. Aprì gli occhi: era terribilmente stanca Cèline.

Era stato solo un sogno che l’aveva scossa così, eppure – nella terra di mezzo tra sonno e veglia – aveva riportato davvero dei lividi.

Si era battuta con tutte le forze, aveva picchiato i pugni contro il tronco dell’albero accanto a cui era sdraiata, pensando di lottare (per la sopravvivenza) con quel lupo da cui per un attimo aveva temuto di essere sbranata.

Sì: era ancora nel bosco; è vero: ricordava di aver incontrato un lupo, ma poi era stato un incubo quello di rivivere la favola di Cappuccetto Rosso.

In realtà quel lupo che vagava nella foresta non voleva mangiare né lei, né la nonna, né nessun altro.

Semplicemente si erano guardati. Era fuori dal branco, libero: non l'avrebbe ostacolata, si sarebbero riconosciuti e rispettati.

E ora pensava con tenerezza, e non più con paura, a quello sguardo fiero che l’aveva scrutata, a quell'ululato, richiamo solitario lanciato verso il cielo, all’ignoto che li circondava. 




martedì 8 ottobre 2013

Ritratto di un paesaggio

È l'ora del tramonto.
C'è un cielo splendido stasera.
Silvia guarda fuori dalla finestra. No: non è uno di quei paesaggi esotici, mozzafiato che si vedono nelle cartoline: non c'è il mare, non ci sono onde nelle quali la luce rosea si riflette, facendo sognare un mondo incantato, in cui dimorare in pace, accarezzati dal moto dei flutti.

C'è invece la terra sotto quel cielo, una terra popolata da case, edifici, palazzi, campanili, costruzioni, ma non solo. Poco oltre, all'orizzonte, si vedono le montagne, il cui profilo definisce un contrasto tra la roccia e l'etere, che restituisce l'immagine di una realtà molto più netta della curva dolce tracciata dal mare o dall'oceano, laddove l'asse terrestre e quello celeste paiono ricongiungersi serenamente.

Lo sguardo di Silvia si ritrae e cade sul primo piano che ha sotto gli occhi: incrocia gli alberi, lentamente ne esamina la chioma, foglie tenere che si intervallano con rami secchi, segno inequivocabile dell'imminente cambio di stagione. Percorre il tronco, quella ruvida corteccia che da quand'era bambina le piace accarezzare. Le ricorda il volto rugoso dei vecchi. “E' strano”, pensa: ha memoria che sin da quand'era piccina ha sempre avuto la certezza che mai quelle antiche pieghe l'avrebbero potuta abbandonare a se stessa.
Scende, il suo sguardo, e si posa sulle radici. Anche queste sono sue maestre di vita: quante volte si è persa a seguire quelle gobbe, quegli intralci, quella rete capillare: percorsi travagliati alla ricerca di linfa vitale. Approda quindi sull'erba, tenera e flessibile al cammino, sulle foglie cadute, segno di rinascita, sul fango, nato da quell'incontro tra la pioggia celeste e il suolo terrestre.

Quell'incontro...che mistero.
Rialza gli occhi al cielo: le nuvole lo attraversano, dipingendo – con i colori del sole – un arabesco meraviglioso, forme spiraleggianti al cui interno si intrecciano i toni del giallo, del rosa e del rosso acceso.

“È così vasto – pensa Silvia – da far venire i brividi”. Eppure se lo sente vicino questa sera. Forse proprio perché, così solcato dalle nubi, non è affatto l'immagine della perfezione, si allontana anzi da quel blu terso che in certe giornate si è incantata ad osservare, così “puro e senza macchia”.

Quello di stasera è invece un cielo che porta in sé le tracce dei suoi tormenti, dei travagli, dei contrasti...è un cielo vivo! Sì: ci si può affidare a un cielo così, perché porta in sé la lotta e l'abbandono, la battaglia tra correnti avverse, l'asprezza e la dolcezza.
E mentre due calde lacrime le scivolano lungo gli zigomi, si sente figlia, sorella, amante, amata da quel cielo, specchio della sua anima.

mercoledì 2 ottobre 2013

Vita

Era così la sua vita: trascorreva tra momenti di traboccante felicità e momenti di profonda amarezza.

A volte il calore e la luce abbagliante del sole scendevano ad abbracciarla, la sollevavano, la portavano su, molto più su di quel suolo sul quale trascorriamo le nostre stanche esistenze. Si sentiva libera, allora, e soprattutto amata, felice e sicura. Nulla le faceva più paura, nulla più la poteva ferire o turbare.

Altre volte, invece, una zampata feroce l'aggrediva alle spalle, la scaraventava a terra e la trascinava con la forza di una calamita sul fondo, dove giaceva sferzata da folate di aria gelida, inzuppata dalla pioggia, che la penetrava fin dentro al midollo.

Così, in un'altalena tra un estremo e l'altro, passavano anche i suoi giorni: talora così pieni da sottrarle il respiro, talvolta così vuoti da farle udire l'eco del battito del cuore.

Quanto avrebbe desiderato colmare almeno un poco quel contrasto, smussare quei picchi, rendere più dolce il suo cammino e avanzare con più stabilità nell'incedere dei giorni.

Sarebbe mai riuscita a raggiungere quel “centro di gravità permanente”? Sarebbe mai riuscita a diventare solida come la roccia, quella roccia di cui da sempre era innamorata?

Chissà...
...per il momento si limitava a cercarlo: come poteva, come sapeva, cadendo, rialzandosi, correndo, zoppicando, ridendo, piangendo, ma con tutta la forza che aveva!



lunedì 30 settembre 2013

Oltre



Rientrando a casa accese l’incenso. Un odore dolce e antico la avvolse; sciolse i capelli e si fuse in quelle note profumate. Non aveva più confini ora, come quella sottile striscia di fumo che dissolvendosi aleggiava nell’aria.

Non è vero che bastiamo a noi stessi.
Siamo cellule che desiderano contaminarsi.

Non possiamo rimanere confinati nei nostri stracci, ognuno nel proprio lembo di terra, in queste mura domestiche. 

venerdì 27 settembre 2013

Scampoli di libertà e qualche pensiero

Era euforica stasera al rientro: aveva finalmente concluso quel lavoro intenso, nel quale come sempre aveva messo tutte le energie.
Certo...l'indomani c'era la prossima scadenza imminente che l'attendeva, ma adesso voleva godersi qualche sorso di libertà nell'entusiasmo di quel momento.
No. Non avrebbe passato le prossime ore al computer, né per lavorare, né in attesa di qualche mail. Si sarebbe concessa del tempo, aveva bisogno di uno scampolo di un paio d'ore e soprattutto di sfogare quell'adrenalina che aveva in corpo.
S'era cambiata, si sentiva già meglio con quel paio di pantaloncini sportivi e la maglietta rossa (che le dava allegria). Era scesa in cortile, aveva inforcato la bicicletta, aperto il cancello e s'era lanciata alla vita!
Era così bello scendere dimenticando il senso del pericolo, era così bello sentirsi tornar bambini e apprezzare quella libertà, quell'ossigeno che ti arriva dritto ai polmoni, che ti buca gli occhi, il naso, che ti fa sentire attraversato da un brivido di gioia!
Una curva, un'altra, poi la strada tornava a farsi più stretta e ora...era salita!
Pedalava, Sally, pedalava e sentiva i muscoli che lavoravano che si allungavano per poi accorciarsi. Anche il fiato ora era più corto. Ma aveva bisogno di quello sforzo.
Già, perché voleva sentire di avercelo ancora un corpo, voleva riprendere possesso di quella macchina perfetta, di quel dono di cui a volte ci dimentichiamo e che ancora, a quest'età, basta tenere in moto per evitare che arrugginisca.
E mentre le gambe lavoravano, anche gli occhi facevano la loro parte. In salita, al contrario della discesa dove tutto sfreccia veloce, ti accorgi di dettagli che solo la lentezza coglie. C'erano foglie meravigliose, in quel momento, per terra. Non ne aveva mai viste di così belle, avevano la forma di un fiore perfetto. Alcune erano già secche, altre erano ancora verdi. Aveva sollevato lo sguardo ma non conosceva quella pianta che ora le stava offrendo quello spettacolo.
Ancora l'ultimo pezzo di strada in salita e poi l'arrivo al cancello. C'era Pinky ad aspettarla. Lui così fedele, sempre immobile davanti all'ingresso ad attendere il suo rientro. Muoveva la coda, sembrava quasi sorridesse. Non riusciva mai a non farsi strappare qualche carezza!

Era stata una bella uscita. E ora, sotto la doccia, Sally sentiva le cellule rigenerarsi profondamente. Acqua: che meraviglioso dono sei! Aveva spento il rubinetto, rimanendo per un po' ancora a gustare quel tepore umido, quella nebbiolina profumata che la circondava mentre si asciugava vigorosamente.

Poi era salita in camera, aveva indossato abiti profumati...e s'era seduta alla scrivania, quasi a voler fermare quel momento.
Le è bastato un attimo, un solo attimo, per rendersi conto di ciò che segretamente il suo cuore ancora desiderava: poter allungare una mano e trovare un'altra mano.
Avrebbe avuto voglia di condividere quella gioia, ma non con chiunque, con qualcuno di speciale, che l'avrebbe capita, che avrebbe saputo cogliere e condividere passioni e desideri.

L'anniversario


Rincasando, ieri sera, s'era accertato che Angela dormisse. Per una volta era lui quello ancora sveglio.
Avevano lavorato insieme tutto il giorno; un lavoro di fatica: svuotare i mobili, spostare, pulire, decidere che cosa buttare e poi ri-spostare e riempire nuovamente i mobili. 


Tutto dev'essere in ordine: arriveranno per i lavori domani. Già...
...la vogliono lasciare sana, un domani, quella casa ai figli.


Sedendosi a tavola, per cena, s'erano scambiati uno sguardo e poi avevano respirato: "e anche per oggi abbiamo fatto del nostro meglio". 
Ora erano stanchi. Lei più di lui? Lui più di lei? Forse lo erano in pari misura entrambi, benché in modo diverso. 
Poi, mentre Angela sparecchiava, lui era uscito per il ritrovo settimanale con gli amici. E ora, tornando a casa in quel silenzio composto aveva sentito il suo respiro leggero venire dalla stanza. Sì: era andata a letto, Angela, e ora dormiva. 


E' rimasto per un attimo a guardarla respirare. Era ordinata anche nel sonno: un respiro regolare e un viso serio ma sereno. 

L'ammirava. Amava tutto di lei, persino (o forse proprio grazie a) quelle discussioni che spesso facevano. 
Si sentiva confuso, stanco, impaurito? E lei c'era. Doveva prendere una decisione e aveva bisogno di un consiglio? E lei c'era. Aveva un problema o un errore da confidare? E lei c'era.
Era così il loro rapporto: costruito su un equilibrio dinamico, fatto di continui assestamenti e spalleggiarsi l'un l'altro.



Uscendo dalla stanza, senza far rumore, Gianangelo era sceso in giardino. Aveva colto i fiori più belli e più colorati, era entrato in cucina e aveva messo il vaso al centro della tavola. 

Domani sarà il loro quarantesimo anniversario di matrimonio. 
Non la porterà in un locale, non la inviterà a cena, non andranno in nessun posto lontano. 
Forse lei ci avrebbe tenuto, ma lui non ama queste cose e non riesce neppure a programmarle.


La festeggerà così: offrendole fiori selvatici e chiedendole di accettare questo amore, semplice e umile. 

giovedì 26 settembre 2013

Brandelli di umanità

Uscita di casa ho un tratto di strada in macchina per arrivare in città e andare a prendere il treno.
Parcheggio sempre davanti a una scuola: è ancora troppo presto per studenti e professori e così c'è sempre un posto libero ad aspettarmi.
Ma ho fatto più tardi del solito questa mattina...questione di attimi e la strada, che normalmente compio in pochi minuti, si è trasformata in un lento corteo di mezzi che lentamente si avviano al lavoro.
Finalmente sono al parcheggio. Ormai ho perso il treno, il prossimo è tra mezz'ora. Faccio allora entrare la calma nei gesti: inutile affannarsi, ormai. Scendo, chiudo la serratura...e mentre la mente calcola e ragiona sul programma della giornata, realizzo di aver fortunatamente occupato l'ultimo posto libero del parcheggio.
Dev'essere ormai l'ora del suono della campanella. Frotte di ragazzi si stanno assiepando intorno all'ingresso scolastico. Qualcuno attraversa la strada con aria assonnata. Qualcuno arriva pallido in volto, tenendo un dizionario sotto braccio o un libro aperto per l'ultimo ripasso.
Sono piccoli branchi, in cui è facile, a colpo d'occhio, individuare leader e gregari.
Sono adolescenti: corpo, viso, voce non hanno ancora pienamente assunto la forma definita dell'adulto e li vedi cercare di darsi un tono.
Deve certamente aver richiesto tempo - penso - mettersi tutto quel trucco prima di uscire di casa, o incollare i capelli con quel gel che definisce un'improbabile onda.
Ma forse quei gesti sono necessari per aiutarli, ora, a sentirsi parte del gruppo, a non restare ai margini.
Ridono, si strattonano, c'è chi racconta con enfasi le proprie imprese, chi chiede un accendino per fumare, chi indossa una minigonna, chi porta vistosi occhiali.

Mi fate tenerezza nei vostri modi più o meno buffi, più o meno saggiamente condivisibili di affermarvi al mondo.

E vorrei augurarvi: prendetevela in pieno questa vostra umanità, non accontentatevi dei brandelli!

mercoledì 25 settembre 2013

Il bagaglio a mano



Il bagaglio a mano con cui Sally si è imbarcata è più leggero oggi.
Sono rimasti a terra, tra gli oggetti smarriti, la tristezza e la paura. Chissà come si sentirà, giungendo in albergo, quando aprendo la valigia vedrà che non ci sono più. Chissà se se ne accorgerà subito.
Sarà da ripensare quel piccolo guardaroba che si era portata.
Prima di partire, con la fitta agenda di impegni alla mano, aveva calcolato con cura che cosa indossare, riservando un angolo, nella tasca laterale interna, alla biancheria, che ora manca all’appello. Già…perché alla fine aveva deciso di liberarsene, aveva deciso che se avesse avuto bisogno di ripararsi dal freddo avrebbe comprato qualcosa di nuovo e di più colorato.

Ma quella prima sera, in quel viaggio solitario, dovrà trovare qualcos’altro da mettere a contatto con la pelle. Si coprirà allora di bei ricordi che le serviranno come rifugio per addormentarsi e quando, come ogni notte, si sveglierà, non si stringerà più nella vestaglia della tristezza, ma si alzerà, preparerà una tisana e, bevendola, scoprirà con stupore che ha il sapore della speranza, addolcita da un pizzico di gioia.