Ricordo i filari di viti, da cui - nella stagione autunnale - coglievamo succulenti grappoli, gustando un sapore che non ho mai più riassaporato.
Ricordo quell'albero alto, su cui avevamo costruito la nostra casa con corde e assi di legno.
Ricordo il tavolo al centro del cortile, circondato da panche di marmo, su cui - nella mia fantasia - immaginavo si sarebbero seduti Biancaneve e i sette nani.
Ricordo le ginocchia sbucciate, quell'enorme bernoccolo, quando saltando da una panca all'altra avevo battuto la testa su un duro spigolo marmoreo, facendo tanto spaventare tutti.
Ricordo il rumore della ghiaia, scomposta sotto i nostri piedi mentre correvamo.
Ricordo le cene della vigilia di Natale, quando gli adulti, riuniti intorno al tavolo, parlavano e discutevano di chissà cosa.
Ricordo le cene della vigilia di Natale, quando gli adulti, riuniti intorno al tavolo, parlavano e discutevano di chissà cosa.
Ricordo che con Piergiorgio - mio adorato cugino - sgattaiolavamo via silenziosi e, rifugiandoci nella sala superiore, ci preparavamo per l'esibizione.
Lui si sedeva sullo sgabello girevole, sollevava la copertura di legno, toglieva la pezza di velluto verde che copriva i tasti, e lanciandomi uno sguardo sorridente, annuiva e iniziava a suonare il maestoso pianoforte.
Lo guardavo incantata.
Le lunghe dita si muovevano rapidissime sulla tastiera, con abili "allunghi", ad afferrare anche gli ultimi tasti dell'accordo.
A volte il tocco era deciso, quasi un affondo, altre volte sottile e delicato, come una carezza.
Non leggeva lo spartito, Piergiorgio, era come se il pentagramma fosse impresso nella sua mente.
A volte il tocco era deciso, quasi un affondo, altre volte sottile e delicato, come una carezza.
Non leggeva lo spartito, Piergiorgio, era come se il pentagramma fosse impresso nella sua mente.
Rimanevo per alcuni minuti ad osservare incantata quella magia.
Nel contempo lasciavo che le note mi avvolgessero, che la musica mi parlasse, mi rivelasse la sua natura, che fosse lei a dirmi che cosa voleva.
...poi - al momento giusto - quando ormai mi sentivo parte della melodia, iniziavo a ballare.
Non era la mente a dirigere il corpo: accadeva semmai il contrario.
Il ritmo era dettato dalla musica, che suggeriva i movimenti.
Braccia, gambe, busto, capo, si flettevano armoniosamente, così come armoniosamente le mani assumevano quella forma aggraziata che contraddistingue le pose della danza classica.
Non era la mente a dirigere il corpo: accadeva semmai il contrario.
Il ritmo era dettato dalla musica, che suggeriva i movimenti.
Braccia, gambe, busto, capo, si flettevano armoniosamente, così come armoniosamente le mani assumevano quella forma aggraziata che contraddistingue le pose della danza classica.
Mi sentivo felice e "padrona" dello spazio, avvolta da un'aura celestiale.
Ero nel mio mondo: in quello spazio sospeso tra il qui e l'altrove, nel quale ho sempre trovato la mia dimensione.
Ricordo quando, danzando, tornavo da scuola, quando la musica della natura che mi circondava risuonava nella mente, componendo poemi armonici da cui mi lasciavo travolgere.
Ho sempre amato quegli spazi "privati", in cui dialogavo con le foglie, gli alberi, il vento, invocando che mi sollevasse, che mi sferzasse con le sue folate, che mi facesse sentire viva, libera.
Libera, sì, sciolta da tutti i legami, dai vincoli, dalle convenzioni, dall'ordine imposto.
Ero nel mio mondo: in quello spazio sospeso tra il qui e l'altrove, nel quale ho sempre trovato la mia dimensione.
Ricordo quando, danzando, tornavo da scuola, quando la musica della natura che mi circondava risuonava nella mente, componendo poemi armonici da cui mi lasciavo travolgere.
Ho sempre amato quegli spazi "privati", in cui dialogavo con le foglie, gli alberi, il vento, invocando che mi sollevasse, che mi sferzasse con le sue folate, che mi facesse sentire viva, libera.
Libera, sì, sciolta da tutti i legami, dai vincoli, dalle convenzioni, dall'ordine imposto.
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