domenica 27 ottobre 2013

Un'altra umanità. La parte più nobile



Immersa da parole che le scorrevano addosso come gocce su un panno idrorepellente.

Era lì, in mezzo a tutta quella gente da cui si sentiva così profondamente diversa.

Non era l'esteriorità quella che interessava a lei, non era fare di tutto pur di farsi notare e conoscere.

...Al contrario...

Le situazioni sociali erano erano proprio quelle da cui sarebbe voluta sparire.

Ormai aveva dovuto imparare, a sue spese, che era necessario mediare, scendere a compromessi con le convenzioni sociali e mettere a tacere quella forza che la spingeva a tirarsi indietro.
Era diventata capace di fare "buon viso a cattivo gioco".
Aveva studiato bene come ci si deve comportare per mostrarsi sicura, malgrado indecisa o contenta, sebbene lacerata.

Ma in fondo ai suoi occhi, nella parte più recondita delle sue movenze era forse possibile scorgere quel velo di malinconia o di amarezza. L'amarezza che nasce dal disincanto di un mondo così distante, di cui non ci si sente parte.

Eppure chi aveva una sensibilità in più, inspiegabilmente si era accorto di quel suo sguardo, pareva aver captato quel suo essere sfuggente e, come per incanto, l'aveva aiutata a sentirsi più a suo agio, mostrandole di accogliere quel suo essere diversa.

Lo aveva fatto così: semplicemente sussurrandole una parola, dedicandole un sorriso e una carezza.
Il cuore le si era stretto, contratto da un moto di commozione.

Era in un volto umano della tenerezza che le sembrava di aver intravisto nuovamente un'altra immagine di umanità: un'umanità in cui ritrovavano posto i valori della prossimità, del silenzio, della discrezione, della naturalezza, del calore di una vicinanza che sappia restituire il puro piacere di stare insieme, accogliendosi così come si è.



Strano...eppure il portatore di quell'umanità credeva (o forse si convinceva) di essere una persona cinica e spietata...
https://www.youtube.com/watch?v=VpG5G0Qhv3k
Ma non lo era, o meglio...forse lo era anche, ma possedeva - altresì - un abisso di dolcezza! Perché non servirsi di più di questa parte? Perché?

Nella sensibilità, non nello charme, la parte più nobile. Nel suo essere, non nell'etichetta, il tesoro più prezioso.

giovedì 24 ottobre 2013

Perchè (o dell'amore)

Si svegliò nel cuore della notte. Nella testa rimbombava una domanda:
"perchè?"

Cercò di capire da quale sogno stava uscendo, ma...nulla; la mente era una lavagna nera su cui a chiare lettere campeggiava solo quell'interrogativo.

Forse il seme da cui era germogliata quella domanda risiedeva in ciò che aveva fatto prima di addormentarsi.

Quali erano stati i suoi ultimi pensieri chiudendo gli occhi?

Aveva pensato a com'era la sua vita, a come le sarebbe piaciuto fosse.

Aveva pensato a chi si stava per addormentare felice, a chi non avrebbe chiuso occhio; alla serenità e all'inquietudine.

Poi aveva deciso di leggere qualche pagina, per distrarsi e per conciliare il sonno che tardava a venire MA la trama della storia era passata subito in secondo piano nel momento in cui era inciampata in quella citazione:

 "E' sempre per amore che si soffre, anche quando crediamo di non    soffrire per niente".

Era una frase come tante, messa lì come incipit, ma l'aveva colpita.

Era vero?

Silenzio. Nessuna risposta.

Erano forse l'amore o la sua assenza a far provare, o viceversa a privare, di quello stato in cui l'essere percepisce una felicità senza increspature?

E allora, perchè non era dato a tutti vivere quell'esperienza?

Perchè?

Silenzio. Nessuna risposta.

Ora l'eco di quella domanda, lanciata nel cuore della notte, tornava a risvegliarla. Un boomerang di ritorno alla base, che la spingeva a radunare le forze per riafferrarlo dolcemente, senza farsi ferire dall'impatto diretto che avrebbe potuto avere.

L'aveva riacciuffato. E adesso era lì di nuovo,
sola,
con il boomerang in mano.

A volte siamo chiamati a giocare da soli,
altre volte scegliamo di farlo,
altre ancora non ci decidiamo a non farlo.

E così, forse, accade anche per l'amore.
...e forse soffriamo perchè ci manca quella gioia (l'amore, appunto) della quale più non riusciamo a godere.

domenica 20 ottobre 2013

Storia di Garrett e Céline (IV Parte)

Ossa rotte, brividi, panni zuppi e la testa...un roveto ardente. Aprì gli occhi: era terribilmente stanca Cèline.

Era stato solo un sogno che l’aveva scossa così, eppure – nella terra di mezzo tra sonno e veglia – aveva riportato davvero dei lividi.

Si era battuta con tutte le forze, aveva picchiato i pugni contro il tronco dell’albero accanto a cui era sdraiata, pensando di lottare (per la sopravvivenza) con quel lupo da cui per un attimo aveva temuto di essere sbranata.

Sì: era ancora nel bosco; è vero: ricordava di aver incontrato un lupo, ma poi era stato un incubo quello di rivivere la favola di Cappuccetto Rosso.

In realtà quel lupo che vagava nella foresta non voleva mangiare né lei, né la nonna, né nessun altro.

Semplicemente si erano guardati. Era fuori dal branco, libero: non l'avrebbe ostacolata, si sarebbero riconosciuti e rispettati.

E ora pensava con tenerezza, e non più con paura, a quello sguardo fiero che l’aveva scrutata, a quell'ululato, richiamo solitario lanciato verso il cielo, all’ignoto che li circondava. 




martedì 8 ottobre 2013

Ritratto di un paesaggio

È l'ora del tramonto.
C'è un cielo splendido stasera.
Silvia guarda fuori dalla finestra. No: non è uno di quei paesaggi esotici, mozzafiato che si vedono nelle cartoline: non c'è il mare, non ci sono onde nelle quali la luce rosea si riflette, facendo sognare un mondo incantato, in cui dimorare in pace, accarezzati dal moto dei flutti.

C'è invece la terra sotto quel cielo, una terra popolata da case, edifici, palazzi, campanili, costruzioni, ma non solo. Poco oltre, all'orizzonte, si vedono le montagne, il cui profilo definisce un contrasto tra la roccia e l'etere, che restituisce l'immagine di una realtà molto più netta della curva dolce tracciata dal mare o dall'oceano, laddove l'asse terrestre e quello celeste paiono ricongiungersi serenamente.

Lo sguardo di Silvia si ritrae e cade sul primo piano che ha sotto gli occhi: incrocia gli alberi, lentamente ne esamina la chioma, foglie tenere che si intervallano con rami secchi, segno inequivocabile dell'imminente cambio di stagione. Percorre il tronco, quella ruvida corteccia che da quand'era bambina le piace accarezzare. Le ricorda il volto rugoso dei vecchi. “E' strano”, pensa: ha memoria che sin da quand'era piccina ha sempre avuto la certezza che mai quelle antiche pieghe l'avrebbero potuta abbandonare a se stessa.
Scende, il suo sguardo, e si posa sulle radici. Anche queste sono sue maestre di vita: quante volte si è persa a seguire quelle gobbe, quegli intralci, quella rete capillare: percorsi travagliati alla ricerca di linfa vitale. Approda quindi sull'erba, tenera e flessibile al cammino, sulle foglie cadute, segno di rinascita, sul fango, nato da quell'incontro tra la pioggia celeste e il suolo terrestre.

Quell'incontro...che mistero.
Rialza gli occhi al cielo: le nuvole lo attraversano, dipingendo – con i colori del sole – un arabesco meraviglioso, forme spiraleggianti al cui interno si intrecciano i toni del giallo, del rosa e del rosso acceso.

“È così vasto – pensa Silvia – da far venire i brividi”. Eppure se lo sente vicino questa sera. Forse proprio perché, così solcato dalle nubi, non è affatto l'immagine della perfezione, si allontana anzi da quel blu terso che in certe giornate si è incantata ad osservare, così “puro e senza macchia”.

Quello di stasera è invece un cielo che porta in sé le tracce dei suoi tormenti, dei travagli, dei contrasti...è un cielo vivo! Sì: ci si può affidare a un cielo così, perché porta in sé la lotta e l'abbandono, la battaglia tra correnti avverse, l'asprezza e la dolcezza.
E mentre due calde lacrime le scivolano lungo gli zigomi, si sente figlia, sorella, amante, amata da quel cielo, specchio della sua anima.

mercoledì 2 ottobre 2013

Vita

Era così la sua vita: trascorreva tra momenti di traboccante felicità e momenti di profonda amarezza.

A volte il calore e la luce abbagliante del sole scendevano ad abbracciarla, la sollevavano, la portavano su, molto più su di quel suolo sul quale trascorriamo le nostre stanche esistenze. Si sentiva libera, allora, e soprattutto amata, felice e sicura. Nulla le faceva più paura, nulla più la poteva ferire o turbare.

Altre volte, invece, una zampata feroce l'aggrediva alle spalle, la scaraventava a terra e la trascinava con la forza di una calamita sul fondo, dove giaceva sferzata da folate di aria gelida, inzuppata dalla pioggia, che la penetrava fin dentro al midollo.

Così, in un'altalena tra un estremo e l'altro, passavano anche i suoi giorni: talora così pieni da sottrarle il respiro, talvolta così vuoti da farle udire l'eco del battito del cuore.

Quanto avrebbe desiderato colmare almeno un poco quel contrasto, smussare quei picchi, rendere più dolce il suo cammino e avanzare con più stabilità nell'incedere dei giorni.

Sarebbe mai riuscita a raggiungere quel “centro di gravità permanente”? Sarebbe mai riuscita a diventare solida come la roccia, quella roccia di cui da sempre era innamorata?

Chissà...
...per il momento si limitava a cercarlo: come poteva, come sapeva, cadendo, rialzandosi, correndo, zoppicando, ridendo, piangendo, ma con tutta la forza che aveva!