Le ossa sembrano frammenti di cocci rotti questa sera,
un’accozzaglia scomposta
si muove sotto l’involucro cutaneo.
Il corpo,
improvvisamente,
non è più sostenuto da nulla.
Dov’è finito il solido scheletro?
Chissà…
Solo disagio:
uno strano,
pesante,
senso di disagio.
Bisogna trovare immediatamente una maschera,
un sorriso sicuro,
un tono allegro.
Ma questa sera non c’è niente!
Nient’altro che smarrimento
e il tonfo,
rumoroso,
del cuore.
Le labbra sono tremule,
la parola svuotata,
gli occhi persi,
i movimenti incerti.
Ci hanno insegnato a rammendare il vestito strappato,
a mettere il cerotto sulla ferita,
a coprire l’errore sul quaderno,
ad asciugare in fretta le lacrime.
E così, forse, ci siamo abituati a vivere…
Percependo il vuoto come mancanza,
l’incertezza come angoscia,
il silenzio come intollerabile assenza.
Ma sono proprio questo spazio e questa fragilità
ad essere così meravigliosamente,
generativi!
Non morte, ma vita,
non staticità, ma movimento finissimo.
Come il seme, che sta a lungo sottoterra prima di assumere
una forma visibile,
come l’albero, che deve perdere tutte le foglie,
prima di rifiorire...
Amo la fragilità,
perché è lì - ne sono certa - l’anticamera della vera forza!!!
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