Amata e odiata compagna,
che mi segui come un’ombra,
e rischiari come luce.
Sei fiamma che fa scoppiare la vita;
sei fuoco che riduce in cenere.
Hai pareti di carta sottili e porose,
e chiavi che aprono serrature arrugginite.
Mi rendi varco sul mondo, porta aperta all’altro.
Trasformi gli occhi in caleidoscopi colorati.
Mi fai commuovere e intenerire, appassionare ed entusiasmare.
Fiumi di gioia e cascate di allegria,
dentro un petto troppo piccolo per trattenerle.
La felicità dilaga come
un oceano: non conosce argini, non vuole confini.
Si leva leggera come un aquilone,
che trascina la mano del bimbo che lo segue e incolla a sé gli occhi di chi lo vede volare.
A contrappeso, mi metti in contatto con la tristezza,
e allora ti annodi tenacemente al cuore e non molli la presa.
I tuoi muri diventano sempre più alti, stretti, solidi.
Frapponi così un abisso tra un’interiorità che viene sbranata
voracemente,
e un’esteriorità con cui non riesco più a comunicare.
Mi sento estranea, diversa, lontana.
Accade così che anche una carezza tanto ricercata possa
farmi vacillare,
come il battito d’ali di un gabbiano, che involandosi apre
cerchi d’acqua
e scompiglia la superficie piatta del mare.
E tutto ricomincia di nuovo.