E’ una splendida giornata autunnale.
Finalmente torno a risollevare lo sguardo, a volgerlo
all’esterno, torno a respirare, torno alla vita! Tutto riacquista colore: il
colore della natura, mia compagna, mia musa ispiratrice, mia fonte di ristoro e
di sollievo.
Come sono passati questi giorni? In un modo folle,
delirante, in un susseguirsi di impegni che mi ha sottratto completamente a
tutto.
Tutto?
No.
Non è venuta meno la nostalgia dell’infinito, di quell’unico
respiro in grado di risollevarmi e di farmi prendere il volo! Ma si tratta
appunto di una nostalgia, perché accanto al desiderio dell’immenso, prevaleva
la paura di potermici perdere.
“Bisogna tenere la barra dritta, manovrare con destrezza il timone e non
perdere la rotta”: queste erano le parole che mi ripetevo (eco di antiche indicazioni
di marinai) quando, di tanto in tanto, arrivavo a solcare le profondità
dell’oceano interiore sconfinato.
E così, galleggiavo, planando leggera come una spugna sulla
superficie dell’acqua; finché, proprio come una spugna sono rimasta assorbita,
impregnata e schiacciata sotto il peso del lavoro, da un vortice, da un
susseguirsi e un rincorrersi divorante di azioni…già…azioni, più che pensieri, perché
il pensiero, quello vero, quello più profondo, non aveva spazio o forse ne aveva
fin troppo e rimaneva tutto compresso dietro un frenetico agire!
E come una spugna che viene strizzata, eccomi ora. Vuota superficie porosa, che
torna a riassumere la propria sagoma. Si riaprono gli interstizi e torna a
filtrare l’aria.
Ricettività, flessibilità, “vita autonoma”: queste le
proprietà di una spugna, che è in grado di sopravvivere anche senza ricevere la
luce.
Già…”sopra-vvivere...in che modo?
Ancora una volta mi è chiaro quanto la testa comandi e il
corpo, quasi meccanicamente, esegua.
Le dita, in questi giorni, scorrevano velocemente sulla tastiera, che le
derubava di tutte altre le esperienze sensoriali che le mani ci possono donare.
Le ginocchia, invece di flettersi per correre e saltare, rimanevano piegate e
dolenti, la schiena incollata alla sedia, lo stomaco contratto, le terminazioni
nervose compresse in un continuo sforzo di concentrazione.
“Non bisogna perdere la calma, la lucidità, non bisogna farsi distrarre, non ci
si può lasciar sfuggire nulla”.
E in tutto questo riconosco – ora - una profonda solitudine.
Sola nel mio piccolo mondo, nelle mie auto-direttive, sola tra queste mura, ma
soprattutto tra le pareti della mia mente.
“Quanta vita c’è la
fuori, nella guerra?
Quanta morte c’è nella pace?” (M. Mazzantini)
Sono scossa da un tremore inarrestabile in tutto il corpo. E me ne rendo conto solo ora che mi fermo.
E' un corpo prigioniero di una staticità innaturale, un corpo che torna a reclamare
la sua vitalità.
Provo ad ascoltarlo.
Sono pronta a uscire.
Corro, rido, mi immergo in un piacere crescente che spazza via come polvere il
grigiore dei pensieri.
Aria pulita. Ti adoro!